Articolo tratto dall’Huffington Post

Da giovedì pomeriggio, tutti, ma proprio tutti, anche dai colli più alti, attaccano giustamente la Presidente della Bce. Nella sua prima conferenza stampa importante, Ms Lagarde è stata davvero imbarazzante e distruttiva. Ma, non è lei il problema. Non ha fatto una gaffe. Il problema è l’impianto regolativo dell’eurozona. Il problema è l’ideologia e la gabbia ordiliberista che rinchiude le scelte della Bce (subito dopo la brillante performance della numero uno di Francoforte, il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, definiva “appropriate in relazione al ruolo e ai mezzi della Bce” le misure votate all’unanimità).

Il pacchetto di decisioni prese dal Governing Council della Bce è utile, ma completamente inadeguato al passaggio di fase: da Francoforte scaricano la responsabilità delle risposte dal piano delle politiche monetarie al piano delle politiche di bilancio. Sarebbe la strada giusta se vi fosse a Bruxelles un bilancio dell’Eurozona o dell’Ue in grado di far fronte ai drammatici problemi sotto i nostri occhi. Come noto, purtroppo, non esiste ed è impraticabile sul piano politico: sono un paio d’anni che a Bruxelles i governi litigano su qualche centesimo di punto percentuale per un Bilancio dell’Unione inchiodato all’1% del Pil dell’Ue. La scaricabarile della Bce avrebbe senso se la Bce medesima, consapevole dell’assenza e dell’impraticabilità politica di un bilancio comune sufficientemente dotato, intendesse attuare misure straordinarie di finanziamento dei bilanci pubblici nazionali di ciascun Paese membro. Ma non può, per statuto e la flessibilità prevista e richiamata dai veritici di Francoforte non è sufficiente: la carenza di liquidità di imprese e famiglie è soltanto un aspetto, ora urgente e relativamente facile, ma in prospettiva minore.

I punti decisivi da affrontare sono, invece, molto più seri: da un lato, l’anemia strutturale di domanda aggregata per un continente dipendente dalle esportazioni e prigionierio, sul piano normativo e istituzionale, dell’estremismo mercantilista scolpito nei Trattati europei. Dall’altro, l’impennata del debito pubblico in rapporto al Pil dovuta al collasso del denominatore, ossia del Pil. È un problema di tutti, ma è in particolare nostro, dato il livello pre-Coronavirus.

In relazione a tali problemi, è evidente, pur in assenza di parole fuori posto, la drammatica inadeguatezza delle decisioni della Commissione europea di venerdì, nonostante siano state salutate come una svolta da larga parte delle nostre leadership politiche, economiche e dei media (un autorevolissimo dirigente del Pd ha financhè espresso in termini calcistici la nostra presunta vittoria: “Von der Leyen batte Lagarde 5 a 0”). L’amara realtà è che la Commissione, impedita dall’assenza di risorse e di poteri e consapevole dei vincoli politici nazionali a decisioni su adeguati strumenti comuni, ha portato avanti lo scaricabarile della Bce e ha consegnato, a sua volta, interamente agli Stati nazionali la responsabilità delle risposte straordinarie richieste dal Coronavirus. Cosi, nelle ore in cui a Berlino il Governo tedesco prevedeva fino a 93 miliardi di euro in più (per un totale di 550 miliardi) di garanzie per il credito alle imprese, la Commissione, per contrastare gli effetti economici e sociali del Coronavirus, comunicava soddisfatta: l’impegno di 37 miliardi per il 2020, ossia lo 0,2% del Pil dell’Unione, spesa non aggiuntiva ma sottratta ale politiche di coesione dell’anno in corso; la disponibilità di 800 milioni (milioni) del Fondo di Solidarietà per aiutare gli Stati più in difficoltà; l’utilizzo di 179 milioni (milioni) del European Globalisation Adjustment Fund per contribuire al sostegno al reddito di decine di milioni di disoccupati in più.

In sintesi, la Commissione europea ha semplicemente detto e scritto agli Stati membri (sintetizzo la sostanza del messaggio): “Tutto quello che possiamo fare è sospendere le norme sugli aiuti di Stato e quelle del Patto di Stabilità (come se qualcuno sano di mente potesse inibire il soccorso ad aziende boccheggianti o pretendere oggi una inutile e immorale manovra recessiva per tentare l’osservanza del limite di deficit al 3% quando, anche al netto delle misure prese, siamo già ben oltre la soglia in conseguenza della contrazione del Pil). Vi assicuriamo di far funzionare il mercato interno (gli acquisti da parte dell’Italia di mascherina in Germania non verrano più bloccati). Tuttavia, conclude la Commissione, le risposte principali [per far fronte alle conseguenze del Coronavirus] devono arrivare dal bilancio dello Stato membro. Quindi, indebitatevi quanto necessario, non vi preoccupate degli aiuti di Stato, i Trattati prevedono flessibilità sia per le politiche di bilancio, sia per il sostegno ai settori colpiti in caso di eventi eccezionali fuori dal controllo del governo”. Quindi, la Commissione si comporta come la Bce. Un comportamento altrettanto inaccettabile perché non mi puoi dire affronta i problemi con il tuo bilancio nazionale senza prevedere una politica monetaria asimmetrica e eccezionale per sterilizzarne le conseguenze. 

Insomma, dalle mosse di Bce e Commissione europea di giovedì e venerdì, vengono fuori in modo inequivocabile i limiti dell’assetto istituzionale dell’eurozona: un mercato comune fattore di alimentazione di profonde divergenze economiche e sociali; una banca centrale mutilata dalla funzione di prestatore di ultima istanza; un’inesistente capacità di bilancio comune.

Cosa implica il combinato disposto dell’inadeguata politica monetaria comune e dell’altrettanto inadeguata politica di bilancio comune? Implica l’insostenibilità del debito pubblico dell’Italia, oltre che della Grecia e probabilmente di altri Paesi dell’Eurozona. Implica, quindi, appena la fase di emergenza sanitaria termina, la ristrutturazione del debito pubblico di alcuni Stati dell’Eurozona.

Cosa sarebbe necessario fare, al più presto? Il confronto con la fase del “whatever it takes” di Mario Draghi non funziona. Allora era una “crisi” di natura finanziaria che impattava sull’economia reale. Oggi, è un collasso dell’economia reale che si ripercuote sulla finanza pubblica e privata. Oggi, il “whatever it takes” non basterebbe. Perché? Perché ridurre gli spread non è sufficiente, sebbene necessario. Oggi, crolla il Pil in Paesi, come il nostro, a debito già molto elevato. Un crollo del Pil che segue una lunga fase di stagnazione e sarà seguito, nel migliore dei casi, da una crescita nominale modesta. Sarebbero poca roba per il nostro debito i 20 miliardi di indebitamento aggiuntivo per il 2020 per finanziare il Decreto economico su Coronavirus. Oggi, il problema è che, anche a spread minimizzati e senza deficit aggiuntivo, il debito di molti Paesi membri dell’eurozona tende a livelli insostenibili. Il nostro viaggia, senza essere pessimisti, verso il 150% del Pil, in uno scenario di contrazione del Pil nominale del 5%.

Oggi, il “whatever it takes” di Draghi sarebbe un intervento di sterilizzazione di una parte significativa del debito degli Stati. Sarebbe utile e avvicinerebbe la stabilizzazione, la trasformazione in Perpetuity dei titoli di Stato acquistati dalle banche centrali nazionali nell’ambito del Quantitative easing. Come sarebbe utile l’acquisto da parte della Bce di Perpetuity emesse dagli Stati membri per finanziare le politiche di contrasto al Coronavirus richiamate dalle linee guida della Commissione europea. Considerati i tempi minimi necessari per introdurre le Perpetuity e l’urgenza massima degli interventi richiesti, la Bce dovrebbe essere autorizzata ad utilizzare l’Omt, senza condizionalità e senza Mes, per comprare i titoli emessi dagli Stati.

Il Ministro Gualtieri all’Eurogruppo di domani e il Presidente Conte, in vista del Consiglio europeo del 26-27 Marzo, dovrebbero preparare l’avvio della discussione affinché la politica riprenda in mano la moneta e indichi alla Bce di attuare con urgenza gli interventi eccezionali appena richiamati. Altrimenti, sconfitto il Coravirus dovremo combattere contro la Troika.

Ps: con l’arrivo del Coronavirus, si è dovuto prendere atto, sul terreno della medicina, che uno non vale uno. Per l’economia, invece, il principio rimane confermato: chiunque può dire, in assenza di qualunque competenza

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