Articolo pubblicato sull’huffington Post
La questione prioritaria in merito al nascituro governo Draghi non è il programma, né il grado di politicità (misurato, a quanto si legge, dalla percentuale di “politici” sul totale dei componenti dell’esecutivo). La questione prioritaria ha a che fare con la qualità della nostra democrazia: la residua sovranità popolare, l’autonomia della politica, l’autorevolezza delle sua classi dirigenti, la possibilità di praticare programmi diversi, finanche alternativi.
Il presidente Mattarella ha autorevolmente incaricato Mario Draghi, dopo il sabotaggio del governo Conte bis compiuto da Italia Viva, per affrontare scadenze immediate, ineludibili e incompatibili con elezioni a giugno e scioglimento della Camere a marzo: dal varo del Decreto “Ristori 5” al completamento della campagna di vaccinazione; dalla redazione definitiva del PNRR alla preparazione della presidenza del G20 all’approvazione del DEF.
Sono scadenze fondamentali. Si possono, anzi si debbono, raggiungere nei prossimi mesi. Il loro raggiungimento è, quindi, un piano coerente, possibile, con lo scioglimento delle Camere entro fine luglio ed elezioni a fine settembre. Il mandato del presidente Mattarella scade il 2 Febbraio 2022. Può sciogliere le Camere fino al 2 Agosto e indire elezioni generali tra i 60 e i 75 giorni successivi, in tempo utile per la sessione di bilancio istruita nelle sue linee di fondo dall’esecutivo “terzo” rispetto alla competizione elettorale.
In sintesi, le emergenze richiamate doverosamente dal Quirinale possono essere, dovrebbero diventare, lo scopo dell’autorevole governo del presidente: il governo Draghi come “governo di scopo”, condivisone necessaria per arrivare al sostegno di una larga base parlamentare.
Fare del governo Draghi un “governo di scopo” consentirebbe, ritengo, un voto favorevole dell’intera alleanza M5S-Pd-LeU, un patrimonio da salvaguardare come condizione necessaria per dare all’Italia una prospettiva progressista per il governo nazionale e per i governi di Regioni e Comuni, a cominciare dalle prossime elezioni amministrative. La natura di scopo sarebbe anche la condizione per avere il sostegno della Lega, oltre che di Forza Italia, e dare al governo Draghi l’auspicata ampia base parlamentare.
Mi permetto un consiglio non richiesto al Pd: attenzione a spingere il M5S verso una “maggioranza Ursula” per un governo di legislatura. Attenzione alla reductio ad unum (il Pd) del pluralismo dell’alleanza M5S-Pd-LeU. Così, decolla il governo Draghi. Così, si salva l’alleanza M5S-Pd-LeU. Così, però, si dissangua il M5S, nato anti-establishment e votato anti-euro, diventato europeista, ma obbligato a esprimere un europeismo critico per sopravvivere e avere senso politico, ossia continuare a dare voce alla rabbia delle periferie sociali colpite dal mercato unico europeo.
Così, i grillini esauriscono il loro valore aggiunto in termini di riferimenti sociali e consenso elettorale. Così, l’alleanza M5S-Pd-LeU sopravvive all’arrembaggio di Renzi e dei suoi mandanti, ma si rattrappisce alle Ztl. Così, lasciamo alle destra praterie di classi medie spiaggiate. Attenzione, le domande intercettate nel 2018 dal M5S e dalla Lega rimangono. Non sono evaporate con l’uscita di Trump dalla Casa Bianca e la rimozione della Brexit dal palinsesto mediatico. Quelle domande sono sempre lì. Anzi, sono sempre più pressanti.
Siamo in un passaggio drammatico dove si intrecciano in un circolo vizioso emergenza sanitaria, emergenza economica e sociale e, da ieri in modo compiuto, emergenza democratica. Agli interventi di soccorso vanno associati interventi di costruzione del futuro. È un compito politico da definire attraverso un inaggirabile mandato democratico.
I tecnici non esistono. Non c’è nessuno più politico di un banchiere centrale. Ancor di meno esistono i “governi tecnici”. L’interesse nazionale è sempre declinato a partire da una visione e da interessi particolari. Ogni scelta di governo è politica: impatta in modo differenziato su interessi economici e sociali ed è offensivo per l’intelligenza di ciascuno tentare di nasconderla dietro la retorica ecumenica del “futuro dei nostri figli” o dell’interesse dell’Italia.
Un “Governo del Presidente” ha una differenza insopprimibile con i due governi Conte. A differenza di Giuseppe Conte, Mario Draghi non è indicato dai 2 partiti con maggior consenso elettorale (Conte I), né dal primo partito per consenso elettorale (Conte II). Anzi, viene alla luce grazie alle picconate di chi non era presente alle elezioni del 2018.
Un Governo del Presidente oltre lo scopo emergenziale implicherebbe la rassegnazione della classe dirigente politica non soltanto alla sua delegittimazione, ma alla delegittimazione della politica e all’ulteriore impoverimento della democrazia costituzionale. La parte seria della classe dirigente politica non può rassegnarsi: si auto-condannerebbe e condannerebbe la politica a una permanente funzione ancillare e al dominio degli interessi più forti.
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